Correvano gli anni Zero, era un sabato pomeriggio mite e soleggiato quando una piccola orda di studenti del DAMS di Torino invadeva Bergamasco, pittoresco comune del Monferrato di sole settecento anime (o poco più).
L’obiettivo della torma studentesca di cui facevo parte, era una visita allo scenografo Carlo Leva, che per il tramite del cinefilo alessandrino Claudio Braggio, aveva accettato di riceverci nella sua antica e fino a quel momento tranquilla casa, per raccontarci la sua sorprendente carriera di scenografo e mostrarci alcuni cimeli proveniente dai set di Sergio Leone, Dario Argento, Dino Risi e altri grandi nomi del cinema italiano.
All’epoca già settantenne, Carlo Leva ci accolse con il suo immancabile basco nero calzato in testa – in piemontese lo chiamiamo il bunet – insieme alla sua gentilissima signora; la coppia ci introdusse nella loro splendida dimora, un edificio a metà tra il palazzotto gentilizio e la casa rurale. Carlo ci fece accomodare nel bel cortile, anch’esso a metà strada tra un’aia e il giardinetto di un antico chiostro, e ci raccontò storie meravigliose che ci trasportarono nei villaggi di frontiera dei film western, in oscure cripte e su inquietanti scene del crimine.
A piccoli gruppi ci invitò a entrare in casa – qualche precauzione doveva pur prenderla, a fronte della nostra irruente curiosità – e ci fece vedere (e persino toccare!) cimeli preziosi come il bastone con la lama nascosta usato ne Il gatto a nove code di Dario Argento o alcuni pesci di gomma piuma, perfettamente somiglianti ad autentici pesci in carne e lisca, con i quali Bud Spencer malmenò i cattivi (quando si dice “prendere qualcuno a pesci in faccia”). Gli chiesi come mai quegli straordinari oggetti fossero rimasti in suo possesso e lui mi spiegò che sui set cinematografici ogni accessorio veniva prodotto in almeno tre esemplari, a prevenzione di smarrimenti, rotture o furti da parte di fan un po’ troppo esaltati. In quel soleggiato pomeriggio che mai dimenticherò, imparai sul cinema più di quanto feci in quattro anni di università, e soprattutto toccai con mano la passione e la devozione di un grande artista per il suo lavoro. Ieri, sabato 4 aprile, all’età di novant’anni, Carlo Leva ci ha lasciati. Con lui non perdiamo soltanto uno scenografo impareggiabile, ma anche un uomo generoso e ospitale, pronto a condividere i suoi preziosi ricordi e la sua casa-museo con un gruppo di chiassosi studenti. Grazie Carlo, quel soleggiato pomeriggio di tanti anni fa, rimarrà per sempre tra i miei ricordi più cari.