Natale si avvicina, è dietro l’angolo – presto! – scansatevi, altrimenti vi prenderà pieno! A Natale siamo tutti più buoni, Natale è la festa dell’amore, Natale è il momento della famiglia… tutta quanta e tutta insieme. Se avete bisogno di scrollarvi di dosso tutto questo appiccicoso buonismo, vi propongo un romanzo (guarda caso il mio) pieno ci comicità, cinismo e acidità. Tacchi e Taccheggi, edito da Golem edizioni racconta dell’amicizia tra due donne, accomunate da un hobby decisamente insolito (oltre che illegale), ovvero il taccheggio. Tacchi e Taccheggi è disponibile nelle librerie e negli e-store, sia in versione cartacea (10 €) che digitale (2,99 €).
Qui di seguito un assaggino… Buon Natale e buona lettura!
Capitolo 7
La porta si aprì e due braccia tozze la spinsero nella stanza. «Allora mi accomodo qui» disse Lydia in tono canzonatorio, «lei faccia pure con comodo caro, ci vediamo più tardi.» Le due braccia tozze scomparvero, tirandosi appresso la porta di metallo. Lydia si guardò intorno, la stanza sembrava il frutto di una sveltina tra l’ufficio di un autoricambista e un caotico magazzino. Scatoloni di cartone di ogni ordine e grandezza erano sparsi qua e là come polverose pecore al pascolo, vegliate da una scrivania il cui colore originale doveva essere bianco. Una dozzina di sedie, delle quali almeno la metà da giardino, erano disposte alla rinfusa e, sullo sfondo, un manichino femminile calvo e mutilato di entrambe le braccia, si godeva il paesaggio con l’unico occhio che ancora aveva a disposizione. Dal soffitto percorso da tubi e condotti, due tremolanti neon spandevano una luce malaticcia e lattiginosa sulla sconosciuta in nero che occupava, altera e immobile, una delle sedie da giardino con la dignità di una regina assisa sul suo trono, pronta a farsi ritrarre dal pittore di corte. Lydia sentì il cuore balzarle fuori dalla bocca: anche la bella signora che per tutto il giorno aveva cercato di avvicinare si trovava in quel postaccio schifoso; quasi come se il destino avesse organizzato loro un appuntamento. “Quindi le guardie controllano anche le donne di quel genere” pensò Lydia, “non ci avrei scommesso un centesimo”. Lydia osservò per qualche secondo, poi tossicchiò per farsi notare. La sconosciuta si voltò, un’ombra di stupore affiorò sul suo viso per spegnersi all’istante, dopodiché tornò a cristallizzarsi in un’innaturale immobilità. Lydia attese ancora qualche istante poi, preso atto che la “sua” sconosciuta non intendeva interagire, raccolse dal pavimento una rivista pluri-calpestata ma piuttosto recente e andò a sedersi sulla sedia più lontana dal trono della regale compagna di detenzione. Lydia iniziò a sfogliare le pagine, quello doveva essere il suo giorno fortunato – pensò – era già la seconda rivista che riusciva a leggere gratis. Le parole si susseguivano noiose e impolverate e dozzine di minuti si spegnevano nel silenzio. Ogni tanto Lydia si voltava di colpo, come quando si gioca a Un due tre stella, per cogliere al volo lo sguardo “dell’altra”, ma la bella sconosciuta non la degnava di uno sguardo, continuava a starsene seduta con la schiena dritta e le gambe accavallate, più immobile e inespressiva del manichino guercio a pochi passi da lei. Lydia ricominciò a leggiucchiare, la prolungata attesa l’annoiava ma certamente non la impensieriva. Ne aveva viste di ogni, Lydia, e non sarebbe stata certo un po’ di attesa a mandarla in ansia. Tanto che potevano farle? Niente, come sempre! Lydia chiuse la rivista e dalle pagine sbuffò un cirro di polvere. “La polvere è una cosa noiosa” pensò tossendo e grattandosi il naso arrossato, “eppure anche la polvere può essere bella quando danza nelle lame di luce che fendono il buio”. Lydia sospirò soddisfatta. Era sempre molto contenta quando la sua mente riusciva ad accozzare i pensieri in una modalità che giudicava poetica. “Danza nelle lame di luce che fendono il buio” ripeté mentalmente una mezza dozzina di volte, tanto per fissare nella memoria quel sublime verso. “Ma sarà poi proprio un verso?” si domandò, “Magari è tipo un sonetto o un aforisma”. A scuola Lydia era sempre stata ciò che zoologicamente può definirsi una capra; specie in letteratura, storia, geografia, matematica, geometria e in tutte le altre materie che il ministero della pubblica istruzione aveva avuto il cattivo gusto di inserire nei programmi scolastici. Nonostante non fosse un fenomeno, a Lydia era piaciuto un sacco andare a scuola e, infatti, l’aveva frequentata per ben dodici anni, gli ultimi tre dei quali in seconda superiore, la sua classe preferita in assoluto. Lydia sospirò di nuovo e questa volta non fu un sospiro di soddisfazione. Ormai erano passati circa dieci anni dal suo ultimo giorno di scuola e da allora cos’era cambiato? Niente, salvo il fatto che dieci anni prima si aspettava il Cambiamento da un momento all’altro mentre ora… Un grottesco starnuto interruppe lo svolgersi della sua biografia mentale. Lydia si sfregò istintivamente il naso con la manica della casacca di tela indiana, e poi si voltò di scatto per vedere se “l’altra” l’aveva vista. “L’altra” aveva un’aria così elegante e compunta che a Lydia sarebbe spiaciuto farsi beccare mentre compiva un gesto che sin dall’asilo, le avevano raccomandato di evitare. Comunque “l’altra” pareva non essersi accorta dello starnuto anzi, probabilmente non si era neppure accorta di lei. Continuava a starsene seduta sul suo trono di plastica, altera e impassibile, con le mani in grembo e lo sguardo dritto di fronte a sé. Chissà cosa guardava, anzi, chissà se in quel momento riusciva a mettere a fuoco almeno qualche cosa di quella squallida stanza o se, invece, era persa in pensieri lontani. Doveva essere spaventata – pensò Lydia – forse addirittura sconvolta. Lydia ci era finita un mucchio di volte in posti come quello e aveva incontrato gente di tutti i generi: anziani, minorenni, tossici di qualunque età ma mai – proprio mai – una donna di quel livello. Sì, certo, le era capitato più volte di vedere una guardia giurata pinzare qualche signora dall’aria “per bene” ma niente di paragonabile alla sua bella sconosciuta. Una col trucco da rivista anni ’30, i capelli raccolti in un anacronistico quanto impeccabile chignon e un paio di scarpette con i tacchi alti e sottili che sembravano nati per calpestare i luoghi più favolosi del creato. Istintivamente Lydia allungò una gamba per far sbucare il piede oltre l’orlo slabbrato dei suoi jeans e appena la punta di una scarpa da ginnastica sbiadita fece capolino, subito la ritrasse come una lumaca vergognosa. (…)